giovedì 21 aprile 2011

Capitolo 21 - Gli Enigmi

Capitolo 21
Gli enigmi
Zadig, fuori di sé, e come un uomo vicino a cui è caduto un fulmine, procedeva a casaccio.
Entrò in Babilonia il giorno in cui coloro che avevano combattuto nel torneo erano già radunati nel grande vestibolo del palazzo per risolvere gli enigmo e per rispondere alle domande del Gran Sacerdote. Tutti i cavalieri erano arrivati ad eccezione dell’armatura verde.
Appena Zadig apparve in città, la gente si assembrò attorno a lui; gli occhi non si saziavano di guardarlo, le bocche di benedirlo, i cuori di augurargli l’impero. L’Invidioso lo vide passare, fremette e si voltò: il popolo lo portò fino al luogo dell’assemblea. La regina, cui era stato comunicato il suo arrivo, era in preda all’agitazione del timore e della speranza; l’inquietudine la divorava: non riusciva a comprendere né perché Zadig fosse senza armi, né come mai Itobad indossasse l’armatura bianca.
Un mormorio confuso si sollevò alla vista di Zadig. Erano sorpresi ed estasiati di rivederlo: ma non era consentito se non ai cavalieri che avevano combattuto di presentarsi in assemblea.
“Io ho combattuto come gli altri” disse, “ma un altro qui indossa le mie armi ed in attesa di avere l’onore di provarlo, chiedo il permesso di presentarmi per risolvere gli enigmi.
Si andò ai voti: la sua reputazione di integrità era ancora così fortemente impressa negli animi, che non esitarono ad ammetterlo.
Il Gran Sacerdote pose per primo questo quesito:
“Quale tra tutte le cose del mondo è la più lunga e la più corta, la più rapida e la più lenta, la più divisibile e la più estesa, la più trascurata e la più rimpianta, senza di cui nulla può esser fatto, che divora tutto ciò che è piccolo e vivifica tutto ciò che è grande?”
Tocca ad Itobad parlare. Rispose che un uomo del par suo non capiva nulla di enigmi, e che a lui bastava aver vinto con dei grandi colpi di lancia.
Alcuni dissero che la chiave dell’enigma era la fortuna, altri la terra, altri la luce. Zadig rispose che era il tempo: “Nulla è più lungo” aggiunse “ poiché è la misura dell’eternità; nulla è più corto poiché è insufficiente per tutti i nostri progetti;
nulla è più lento per colui che aspetta; ma niente è più veloce per colui che gioisce; si estende all’infinito nel grande; si divide all’infinito nel piccolo; tutti gli uomini lo ignorano, tutti ne rimpiangono la perdita; nulla può essere fatto senza di lui; fa dimenticare tutto ciò che non è degno per i posteri e rende immortali le grandi cose.” L’assemblea convenne che Zadig aveva ragione. Chiesero poi:  “Qual è la cosa che si riceve senza ringraziare, della quale si gioisce senza sapere come, che si dona agli altri quando non si sa dove si è, e che si perde senza accorgersene? Ciascuno disse la sua: Zadig solo indovinò che era la vita.  Egli risolse tutti gli altri enigmi con la medesima facilità. Itobad continuava a dire che non vi era nulla di più semplice e che lui ne sarebbe venuto a capo altrettanto facilmente se solo se ne fosse dato pena. Furono proposte delle domande sulla giustizia, sul sommo bene, sull’arte di regnare. Le risposte di Zadig furono giudicate le più solide. “E’ veramente un peccato” dicevano, “che uno spirito così  brillante sia un così cattivo cavaliere” “Illustri signori” disse Zadig, “Io ho avuto l’onore di vincere il torneo. E’ a me che appartiene l’armatura bianca. Il nobile Itobad se ne è impadronito mentre dormivo: evidentemente reputava che gli si confacesse di più della verde. Io sono pronto a dimostrargli su due piedi davanti a voi, con la mia veste e la mia spada, contro tutta la sua bella armatura bianca, che mi ha sottratto, che sono io che ho avuto l’onore di sconfiggere il valoroso Otame.
Itobad accettò la sfida con la massima sicurezza.
Non dubitava che, essendo dotato di elmo, corazza, bracciali, avrebbe avuto agevolmente ragione di un campione in berretto da notte ed in veste da camera.
Zadig estrasse la spada salutando la regina che lo guardava, pervasa di gioia e timore.
Itobad estrasse la sua senza salutare nessuno.
Avanzò verso Zadig come un uomo che non aveva niente da temere.
Era pronto ad aprirgli la testa: Zadig riuscì a parare il colpo, opponendo quello che viene chiamato il forte della spada al debole del suo avversario, di modo che la spada di Itobad si ruppe.
Allora Zadig, afferrato il suo avversario al tronco lo gettò in terra e puntandogli la punta della spada tra le piastre della corazza: “Lasciatevi disarmare” gli disse, “o vi uccido”.
Itobad, sempre sorpreso delle disgrazie che capitavano ad un uomo par suo, lasciò fare Zadig, che gli tolse tranquillamente il suo magnifico elmo, la sua superba corazza, i suoi bei bracciali, le sue brillanti gambiere, se ne rivestì e corse così equipaggiato a gettarsi ai piedi di Astarte.
Cador provò facilmente che l’armatura apparteneva a Zadig. Egli fu riconosciuto re con il consenso di tutti e specialmente di Astarte, che gustava, dopo tante avversità, la dolcezza di vedere il suo amato degno, agli occhi di tutti, di essere suo sposo.
Itobad andò a farsi chiamare eccellenza a casa sua.
Zadig fu re e fu felice.
Aveva presente ciò che gli aveva detto l’angelo Jesrad. Si ricordava anche del granello di sabbia divenuto diamante. La regina e lui adorarono la Provvidenza.
Zadig lasciò la bella e capricciosa Missouf  a girare ilmondo. Mandò a chiamare il brigante Arbogad a cui conferì un grado onorevole nel suo esercito con la promessa di promuoverlo dignitario se si fosse comportato da vero guerriero, e di farlo impiccare se si fosse comportato da brigante
Setoc fu chiamato dalla parte estrema dell’Arabia, con la bella Almona, per essere a capo del commercio di Babilonia. Cador fu collocato e favorito secondo i suoi servigi; fu l’amico del re ed il re fu da allora l’unico monarca della terra che avesse un amico.
Il piccolo muto non fu dimenticato. Venne donata una bella casa al pescatore. Orcan fu condannato a pagargli una grossa somma ed a restituirgli la moglie, ma il pescatore, divenuto saggio, non accettò che il denaro.
Né la bella Semire si conolava di aver creduto che Zadig fosse guercio, né Azora cessò di dolersi per avergli voluto tagliare ilnaso.
Egli addolcì le loro pene con dei regali. L’Invidioso morì di rabbia e di vergogna.
L’impero si rallegrò per la pace, la gloria e la prosperità: quello fu il più bel secolo della terra;
essa era governata dalla giustizia e dall’amore
Fu benedetto Zadig e Zadig benedisse il Cielo.


Nessun commento: