giovedì 21 aprile 2011

Capitolo 20 - L'Eremita

Capitolo 20
 L’Eremita
Camminando incontrò un eremita, con una barba bianca e venerabile che gli arrivava alla cintura. Teneva in mano un libro che leggeva attentamente. Zadig si arrestò e gli fece un profondo inchino. L’eremita lo salutò con un’aria tanto nobile e dolce che Zadig ebbe la curiosità di intrattenersi con lui.
Gli chiese che libro leggesse. E’ il libro dei destini, disse l’eremita; volete leggervi qualche cosa?
Mise il libro nelle mani di Zadig che, sebbene fosse esperto di molte lingue, non vi poté decifrare una sola parola.
Ciò raddoppiò la sua curiosità.
“Mi sembrate ben infelice”, gli disse quel buon padre.
“Ahimé! Ne ho ben motivo!” disse Zadig, “Se mi permettete di accompagnarvi”, riprese il vegliardo, “forse vi sarò utile: qualche volta ho sparso sensazioni di conforto nell’animo degli infelici”.
Zadig  provò rispetto per l’aspetto, per la barba e per il libro dell’eremita.  Trovò nella sua conversazione delle illuminazioni superiori.
L’eremita parlava del destino, della giustizia, della morale, del sommo bene, della debolezza umana, delle virtù e dei vizi, con un’eloquenza così viva e toccante che Zadig si sentì trasportato verso di lui da un fascino invincibile.
Gli chiese con insistenza di non lasciarlo, fin quando non fossero stati di ritorno a Babilonia. “Anch’io vi chiedo una grazia” gli disse il vegliardo; “giuratemi per Orosmade che voi non vi separerete da me per qualche giorno, qualunque cosa io faccia. Zadig lo giurò e partirono assieme.
I due viaggiatori arrivarono a sera ad un superbo castello. L’eremita chiese ospitalità per lui e per il giovane che l’accompagnava.
Il portiere, che poteva essere scambiato per un gran signore, li accolse con una sorta di sdegnosa bonomia. Li presentò ad un capo domestico che fece loro vedere i magnifici appartamenti del padrone. Furono ammessi alla sua tavola all’estremità più lontana, senza che il signore del castello li onorasse di uno sguardo; ma furono serviti come gli altri con delicatezza ed abbondanza.
Gli fu poi dato da lavarsi in una bacinella d’oro ornata di smeraldi e rubini.
Furono condotti a dormire in un bell’appartamento ed il mattino seguente un domestico portò a ciascuno un pezzo d’oro e poi li congedò.
“Il padrone di casa”, disse Zadig lungo il cammino, “mi è sembrato essere un uomo generoso sebbene un po’ altezzoso, esercita nobilmente l’ospitalità”. Dicendo queste parole s’accorse che una specie di tasca molto grande che portava l’eremita sembrava tesa e gonfia: egli ci vide la bacinella d’oro e pietre preziose che costui aveva rubato. Inizialmente non osò dire nulla; ma fu preso da un certo stupore.
Verso mezzogiorno l’eremita si presentò alla porta di una casa molto piccola, dove viveva un ricco avaro; egli vi domandò ospitalità per alcune ore. Un anziano valletto mal vestito lo accolse con un tono sgarbato e fece entrare l’eremita e Zadig nella scuderia, dove gli furono date delle olive marce, del pane cattivo e della birra guasta. L’eremita bevve e mangiò con un’aria altrettanto contenta del giorno prima, poi rivolgendosi a quel vecchio valletto che li osservava entrambi per vedere che non rubassero niente e che li sollecitava a partire, gli regalò i due pezzi d’oro che aveva ricevuto al mattino e lo ringraziò di tutte le sue attenzioni. “Vi prego” aggiunse “fatemi parlare con il vostro padrone”
Il valletto, stupito, annunciò i due viaggiatori: “Magnifico signore”, disse l’eremita,”non posso che molto umilmente ringraziarvi della nobile maniera con cui ci avete ricevuti: degnatevi di accettare questa bacinella d’oro come un piccolo pegno della mia riconoscenza.”
L’avaro per poco non cadde all’indietro. L’eremita non gli diede il tempo di riprendersi dal suo sbalordimento, se ne andò al più presto con il suo giovane viaggiatore. “Padre” gli disse Zadig,”cos’è questo che vedo? Voi non mi sembrate assomigliare in nulla agli altri uomini: rubate una bacile d’oro ornato di pietre preziose ad un signore che vi riceve magnificamente e lo regalate ad un avaro che vi ha trattato in maniera indegna.
“Figlio mio”, disse il vegliardo, “quest’uomo magnifico, che accoglie gli stranieri solo per vanità e per fare ammirare le sue ricchezze, diventerà più saggio; l’avaro imparerà ad esercitare l’ospitalità: non vi stupite di nulla e seguitemi.”
Zadig non sapeva ancora se aveva a che fare con il più folle o con il più saggio tra tutti gli uomini; ma l’eremita parlava con tale ascendente che Zadig, vincolato peraltro dal suo giuramento, non poté impedirsi di seguirlo.
Giunsero a sera ad una casa piacevolmente costruita ma semplice, dove nulla lasciava percepire né prodigalità né avarizia. Il proprietario era un filosofo ritiratosi dal mondo, che coltivava in pace la saggezza e la virtù e che tuttavia non si annoiava affatto.
Si era divertito a costruire quel ritiro in cui riceveva i forestieri con una nobiltà che non aveva nulla dell’ostentazione.
Andò lui stesso dinanzi ai due viaggiatori che fece dapprima riposare in un comodo appartamento. Dopo un po’ di tempo lui stesso  andò a prenderli per invitarli ad un pasto onesto e ben inteso, durante il quale parlò con discrezione delle ultime rivolte di Babilonia. Sembrò sinceramente attaccato alla regina, ed aveva auspicato che Zadig fosse comparso in lizza per disputare la corona; ma gli uomini, aggiunse “non meritano di avere un re come Zadig”. Quest’ultimo arrossì e sentì raddoppiare i suoi dolori. Si convenì durante la conversazione, che gli affari di questo mondo non andavano sempre secondo il desiderio dei più saggi. L’eremita sosteneva sempre che non si conoscono le strade della Provvidenza e che gli uomini hanno torto a giudicare di un tutto di cui non colgono che la minima parte.
Si parlò delle passioni: “Ah quanto sono funeste!” diceva Zadig. “Sono i venti che gonfiano le vele del vascello” rispose l’eremita: esse talvolta lo sommergono, ma senza di loro non si potrebbe navigare. La bile rende collerici e malati, ma senza la bile l’uomo non saprebbe vivere. Tutto quaggiù è pericoloso e tutto è necessario.” Parlarono dei piaceri e l’eremita provò che è un regalo della Divinità; “poiché” disse, “l’uomo non può darsi né sensazioni né idee, riceve tutto; il dolore ed il piacere gli vengono da altrove, come il suo stesso essere.”
Zadig era ammirato nel vedere come un uomo che aveva fatto delle cose tanto stravaganti poteva ragionare così bene.
Infine, dopo una conversazione tanto istruttiva quanto piacevole, l’ospite ricondusse i suoi due viaggiatori nel loro appartamento, benedicendo il cielo che gli aveva inviato due uomini così saggi e virtuosi. Offrì loro del denaro in una maniera semplice e nobile che non poteva dispiacere. L’eremita lo rifiutò e gli disse che prendeva congedo contando di partire per Babilonia prima dell’alba.
La loro separazione fu commovente, Zadig soprattutto si sentiva pieno di stima e di simpatia per un uomo così amabile.
Quando l’eremita e lui furono nel loro appartamento fecero a lungo l’elogio del loro ospite. Il vecchio, sul fare del giorno, svegliò il suo compagno. “Bisogna partire” disse, “ma mentre tutti dormono ancora, voglio lasciare a quest’uomo una testimonianza della mia stima e del mio affetto. Dicendo queste parole, prese una fiaccola e diede fuoco alla casa.
Zadig, spaventato gettò delle grida e volle impedirgli di compiere un’azione così orribile.
L’eremita lo trascinò con una forza superiore: la casa era in fiamme.
L’eremita che era già molto lontano con il suo compagno la guardò tranquillamente bruciare.
“Grazie a Dio!” disse, “ecco la casa del mio caro ospite distrutta da cima a fondo! Oh uomo felice!”
A queste parole Zadig fu tentato allo stesso tempo di scoppiare a ridere, di insultare il reverendo padre, di batterlo e di fuggire , ma non fece nulla di tutto ciò, e sempre soggiogato dall’ascendente dell’eremita, lo seguì suo malgrado alla sosta successiva.
Questa fu presso una vedova caritatevole e virtuosa che aveva un nipote di quattordici anni,
pieno di grazie e sua unica speranza. Ella fece meglio che poté gli onori di casa. L’indomani, ordinò a suo nipote di accompagnare i viaggiatori fino ad un ponte che, essendosi rotto da poco, era divenuto un passaggio pericoloso.
Il giovane zelante cammina davanti a loro.
Quando furono sul ponte: “Venite” disse l’eremita al giovane, “bisogna che manifesti la mia riconoscenza a vostra zia”: Lo prende quindi per i capelli e lo getta nel fiume. Il ragazzo cade, riappare un momento sull’acqua ed è inghiottito dal torrente. “Oh mostro! Oh scelleratissimo tra tutti gli uomini!” Urlò Zadig.
“Voi mi avevate promesso più pazienza” gli disse l’eremita interrompendolo, “sappiate dunque che sotto le rovine di quella casa alla quale la Provvidenza ha dato fuoco, il proprietario ha trovato un immenso tesoro;  sappiate che questo giovane al quale la Provvidenza ha torto il collo, avrebbe assassinato la zia entro un anno e voi entro due”.
“Chi te l’ha detto, barbaro?” gridò Zadig, “e anche qualora avessi letto questi avvenimenti nel tuo libro dei destini, ti è permesso di annegare un ragazzo che non ti ha fatto alcun male?”
Mentre il babilonese parlava, si accorse che il vegliardo non aveva più la barba, che il suo viso prendeva i lineamenti della giovinezza.
Il suo vestito da eremita scomparve; quattro belle ali coprivano un corpo maestoso e risplendevano di luce. “Oh messo del cielo! Oh angelo divino!” esclamò Zadig prosternandosi, sei dunque disceso dall’Empireo per insegnare ad un debole mortale a sottomettersi agli ordini eterni?”
“Gli uomini giudicano di tutto senza saper nulla: tu eri tra tutti gli uomini quello che meritava maggiormente di essere illuminato.”
Zadig gli chiese il permesso di parlare. “Diffido di me stesso” disse “ma oserei pregarti di chiarirmi un dubbio: non sarebbe stato meglio aver corretto questo ragazzo, rendendolo virtuoso, che di annegarlo?”
Jesrad riprese: “Se fosse stato virtuoso e se fosse vissuto il suo detino era di essere assassinato lui stesso con la donna che doveva sposare ed il figlio che doveva nascergli”.
“Ma come!” rispose Jesrad, “è dunque necessario che ci siano dei crimini e delle sventure? E le disgrazie capitano alle persone per bene!”
“I malvagi!, rispose Jasrad “sono sempre infelici: servono a mettere alla prova unpiccolo numero di giusti sparsi sulla terra e non vi è male da cui non nasca un bene.
“Ma” disse Zadig, “se non vi fosse che del bene e nulla di male?”
“Allora questo mondo sarebbe un altro mondo, la concatenazione degli eventi sarebbe un altro ordinamento di saggezza; e quest’ordinamento, che sarebe perfetto, non può esistere che nella dimora eterna dell’Essere Supremo, a cui il male non può avvicinarsi. Egli ha creato milioni di mondi, dei quali nessuno può assomigliare ad un altro.
Quest’immensa varietà è un attributo della sua immensa potenza.
Non vi sono due foglie d’albero sulla terra, né due globi nelle distese infinite del cielo, che si somiglino, e tutto ciò che tu vedi sul piccolo atomo dove sei nato deve essere nel suo posto e nei suoi tempi fisso, secondo la legge immutabile di colui che comprende tutto.
Gli uomini pensano che questo ragazzo che è appena morto sia caduto nell’acqua per disgrazia, che sempre per un caso quella casa sia bruciata: ma non è un caso; tutto è una prova, o punizione o ricompensa o prevenzione.
Ti ricordi di quel pescatore che si credeva il più infelice tra gli uomini? Orosmade ti ha inviato per cambiare il suo destino. Debole mortale! Smetti di combattere contro colui che bisogna adorare.”
“Ma” disse Zadig...
Come disse “ma” l’angelo prendeva già il suo volo verso la decima sfera.
Zadig in ginocchio adorò la Provvidenza e si sottomise. L’angelo gli gridò dall’alto del cielo: “Prendi il tuo cammino verso Babilonia!”

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