Capitolo 16
Il brigante
Arrivando alla frontiera che separa l’Arabia Petrea dalla Siria, appena passò accanto ad un castello ben fortificato, degli arabi armati ne uscirono. Si vide circondato; gli gridarono: “Tutto ciò che avete ci appartiene e la vostra persona appartiene al nostro padrone”. Zadig, in risposta, estrasse la spada; il suo valletto, che aveva coraggio, fece altrettanto. Colpirono a morte i primi arabi che avevano messo le mani su di loro, il numero raddoppiò, ma essi non si spaventarono, risoluti a morire combattendo.
Due uomini si difendevano contro una moltitudine: un tale combattimento non poteva durare a lungo. Il padrone del castello, di nome Arbogad, avendo osservato da una finestra i prodigi di valore che compiva Zadig, provò ammirazione per lui. Discese in fretta ed andò lui stesso ad allontanare i suoi uomini ed a liberare i due viaggiatori. “Tutto ciò che passa sulle mie terre mi appartiene”, disse, “come anche ciò che trovo sulle terre altrui; ma voi mi sembrate un uomo così coraggioso che vi esento dalla regola comune”. Lo fece entrare nel suo castello, ordinando ai suoi uomini di trattarlo bene; e la sera Arbogad volle cenare con Zadig.
Il signore del castello era uno di quegli arabi chiamati predoni, ma talvolta compiva delle azioni buone in mezzo ad una moltitudine di azioni malvagie; rapinava con una rapacità furiosa e regalava con generosità: intrepido nell’azione, molto gentile nel commercio, dissoluto a tavola, allegro nella dissolutezza e soprattutto estremamente schietto.
Zadig gli piacque molto; la sua conversazione si animò e fece durare a lungo il pasto: infine Arbogad gli disse: “Vi consiglio di arruolarvi tra i miei, non potreste fare di meglio; questo mestiere non è malvagio; potreste un giorno diventare come me”.
“Posso chiedervi”, disse Zadig, “da quanto tempo esercitate questa nobile professione?”
“Dalla mia più tenera età”, rispose il signore, “ero valletto di un arabo molto abile; il mio stato mi era insopportabile. Ero preso dalla disperazione nel constatare che, in tutta la terra che appartiene in egual misura a tutti gli uomini, la sorte non aveva riservato una parte per me. Confidai le mie pene ad un vecchio arabo che mi disse: - Figlio mio non disperare; c’era una volta un granello di sabbia che si lamentava di esser un atomo negletto nel deserto; di lì ad alcuni anni era divenuto un diamante ed ora è il più bell’ornamento della corona del re delle Indie -. Questo discorso mi fece impressione, io ero il granello di sabbia, decisi di diventare un diamante. Cominciai con il rubare due cavalli; mi aggregai a dei compari; mi misi in condizione di derubare delle piccole carovane e così a poco a poco misi fine alla sproporzione che inizialmente vi era tra me e gli altri uomini. Ebbi la mia parte dei beni di questo mondo e fui persino ricompensato in eccesso: fui molto considerato; divenni capo brigante; mi appropriai di questo castello per vie di fatto. Il satrapo della Siria voleva sottrarmelo ma ero oramai troppo ricco per avere nulla da temere; diedi del denaro al Satrapo, a condizione di conservare il castello ed ingrandire i miei domini; mi nominò anche tesoriere dei tributi che l’Arabia Petrea pagava al re dei re.
Svolsi il mio compito di esattore ma non quello di pagatore.
Il Gran Desterham di Babilonia inviò sin qui, in nome del re Moabdar, un piccolo satrapo per farmi strangolare.
Quest’uomo arrivò con il suo mandato: io ero già al corrente di tutto, feci strangolare in sua presenza le quattro persone che aveva portato con lui per stringere il laccio; dopo di ciò gli chiesi quanto valeva per lui l’incarico di strangolarmi. Quegli mi rispose che il suo onorario potevano arrivare a trecento pezzi d’oro.
Gli feci capire chiaramente che con me avrebbe potuto guadagnare molto di più. Lo nominai sotto-ladrone; oggi lui è uno dei miei migliori ufficiali ed uno dei più ricchi.
Se mi date retta, avrete successo come lui.
Non c’è mai stato un periodo migliore per rapinare, da quando il re Moabdar è stato ucciso e il caos regna in Babilonia.”
“Moabdar è stato ucciso!” disse Zadig; “e cosa ne è stato della regina Astarte?”
“Non ne so nulla” rispose Arbogas,” tutto quello che so è che Moabdar è impazzito ed è stato ucciso, che Babilonia è una carneficina, che tutto l’impero è desolato, che ci sono dei bei colpi ancora da fare e che da parte mia ne ho già fatti di notevoli”.
“Ma la regina”, disse Zadig, “non sapete niente della sorte della regina?”
“Mi hanno parlato di un principe di Ircania” rispose quello, “probabilmente è tra le sue concubine, se non è stata uccisa nei tumulti; ma io sono più curioso di bottino che di notizie. Ho preso molte donne durante le mie scorrerie, non ne tengo nessuna, le vendo a caro prezzo quando sono ancora belle, senza informarmi di chi siano. Non si acquista il lignaggio; una regina brutta non troverà un mercante; forse ho venduto io la regina Astarte, o forse è morta, ma poco importa, e penso che voi non dobbiate preoccuparvene più di me”.
Parlando così, beveva con un tale ardore, confondeva talmente tutte le idee, che Zadig non riuscì a trarne alcun chiarimento.
Restò interdetto, abbattuto, immobile. Arbogad beveva sempre, faceva dei conti, ripeteva senza sosta che lui era il più felice degli uomini, esortando Zadig a rendersi altrettanto felice.
Infine, stordito dai vapori del vino, andò a dormire di un sonno tranquillo.
Zadig passò la notte nell’agitazione più violenta.
“Ma come” diceva, “il re è impazzito! È stato ucciso! Non posso impedirmi di compiangerlo. L’impero è a pezzi e questo brigante è felice: oh Fortuna! Oh Destino! Un ladro è felice, e ciò che la natura ha creato di più amabile forse e morta in maniera orribile, oppure vive in una condizione peggiore della morte! Oh Astarte! Che ne è stato di voi?
Appena giorno interrogò tutti quelli che incontrò nel castello; ma tutti erano occupati, nessuno gli rispose: avevano fatto durante la notte delle nuove conquiste e se ne spartivano le spoglie.
Tutto ciò che riuscì ad ottenere in quella tumultuosa confusione, fu il permesso di andarsene. Ne approfittò senza tardare, più sprofondato che mai nelle sue dolorose riflessioni.
Zadig procedeva inquieto, agitato, l’animo tutto preso dalla sventurata Astarte, dal re di Babilonia, dal suo fedele Cador, dal felice brigante Arbogad, da quella donna capricciosa che dei babilonesi avevano rapito ai confini dell’Egitto, ed infine da tutti i contrattempi e da tutte le sventure che gli erano capitate.
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