martedì 12 aprile 2011

Capitolo 11 - Il rogo

Capitolo 11
Il rogo
Setoc, estasiato, fece del suo schiavo il suo amico intimo. Egli non poteva fare a meno di lui, come era avvenuto al re di Babilonia, e Zadig era felice che Setoc non avesse una moglie. Aveva scoperto nel suo padrone una naturale inclinazione al al bene e molta rettitudine e buon senso. Fu dispiaciuto nel constatare che egli adorava l’Armata Celeste, ovvero il Sole, la Luna e le Stelle, secondo l’antico costume degli arabi. Talvolta gliene parlava con molta discrezione. Infine gli disse che si trattava di corpi materiali come tanti altri, e che non meritavano la sua devozione più di quanto non la meritassero un albero od una roccia. “Però”, diceva Seroc “sono delle entità eterne da cui traiamo ogni giovamento: essi animano la natura, regolano le stagioni e d’altra parte sono così lontani da noi che è impossibile evitare di adorarli”. 
“Voi ricevete molti più benefici” rispose Zadig, “dalle acque del Mar Rosso, che trasporta le vostre mercanzie fino alle Indie. E queste non potrebbero essere antiche quanto le stelle? E se voi adorate ciò che vi è lontano, allora dovreste adorare la terra dei Gangaridi, che si trova ai limiti estremi del mondo”. “No”, diceva Setoc, “le Stelle sono troppo brillanti perché io non le adori”. Giunta la sera, Zadig accese un gran numero di fiaccole nella tenda dove avrebbe cenato con Setoc e, quando il padrone fece la sua comparsa, egli si gettò in ginocchio dinanzi ai ceri accesi dicendo loro: “Eterni e brillanti chiarori, siàtemi sempre propizi!” e dopo aver proferito queste parole, si mise a tavola senza guardare Setoc. “Che state facendo?” gli chiese Setoc meravigliato, “Faccio come fate voi”, rispose Zadig, “adoro queste candele ed ignoro il loro padrone ed il mio”.
Setoc comprese il significato profondo di questo apologo. La saggezza del suo schiavo penetrò nel suo animo; non offrì più il suo incenso alle creature ed adorò l’Essere eterno che le ha create.
Vi era in quei tempi in Arabia un’usanza orribile, venuta originariamente dalla Scizia e che, stabilitasi nelle Indie su influsso dei Bramini, minacciava di invadere tutto l’Oriente.
Quando moriva un uomo sposato e la sua amata moglie voleva essere santa, questa si bruciava in pubblico sul corpo del marito. Era una festa solenne che si chiamava “il rogo della vedovanza”. La tribù in cui vi era il maggior numero di mogli bruciate era anche la più considerata. Essendo morto un arabo della tribù di Setoc, la sua vedova, di nome Almona, che era molto devota, fece sapere il giorno e l’ora in cui si sarebbe gettata nel fuoco al suono di trombe e tamburi. Zadig fece notare a Setoc quanto un tale orribile costume fosse contrario al bene del genere umano; che venissero lasciate bruciare tutti i giorni delle giovani vedove che avrebbero ancora potuto donare dei figli allo stato, o per lo meno allevare i propri, e lo fece convenire che si doveva, per quanto possibile, abolire un’usanza tanto barbara. Setoc rispose: “Sono più di mille anni che le mogli hanno il diritto di farsi bruciare. Chi di noi oserà cambiare una legge che il tempo ha reso sacra? Vi è nulla di più rispettabile di un antico malcostume?”.  “La Ragione è ancora più antica” rispose Zadig. “Parlate dunque ai capi delle tribù mentre io andrò a trovare la vedova”.
Le si fece presentare e dopo essersi accattivato il suo favore lodandone la bellezza, dopo aver affermato che sarebbe stato un grande errore gettare alle fiamme tanto fascino, continuò a lodarla per la sua fedeltà ed il suo coraggio.
“Voi dunque amavate incredibilmente vostro marito?” le disse, “Io? Per niente” rispose la donna araba, “era violento, geloso, un uomo insopportabile, ma sono fermamente decisa a gettarmi sul suo rogo”.
“Deve esserci un che di molto gradevole”, disse Zadig, “ nel farsi bruciare vivi.”
“Ah! La cosa mi terrorizza,” disse la dama, “ma bisogna passarci. Sono molto devota; la mia reputazione sarebbe rovinata e tutti si prenderebbero gioco di me se non mi facessi bruciare”. Zadig, dopo averle fatto ammettere che si sarebbe fatta bruciare per gli altri e per vanità, le parlò a lungo ed in modo da farle amare un poco la vita, giungendo fino ad inspirarle una sorta di benevolenza verso colui che le parlava. “Ed infine cosa fareste” le disse, “se non foste presa dalla vanità di farvi bruciare?”. “Ahimé!” disse la donna, “credo che vi pregherei di prendermi in moglie”.
Zadig era troppo preso dal pensiero di Astarte per non lasciar cadere una tale proposta, si recò però immediatamente dai capi delle tribù e raccontato loro ciò che era avvenuto, gli suggerì di fare una legge per la quale non sarebbe stato consentito ad una vedova di farsi bruciare se non dopo essersi intrattenuta con un giovane, a tu per tu, per almeno un’ora. Da allora, nessuna donna si fece più bruciare in Arabia.
Si dovette a Zadig il merito di aver distrutto in un sol giorno un’usanza tanto crudele che durava da così tanti secoli. Era dunque egli il benefattore dell’Arabia.

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