mercoledì 31 marzo 2010

Capitolo 3 - Il cane ed il cavallo

Capitolo 3
Il cane ed il cavallo
Zadig sperimentò che il primo mese di matrimonio, come sta scritto nel libro di Zend, è la luna di miele, e che il secondo è la luna d’assenzio.
Dopo qualche tempo fu costretto a ripudiare Azora, con cui era diventato troppo difficile vivere e cercò la sua tranquillità nello studio della natura.
“Nessuno è più felice” si diceva “di un filosofo che legge in questo grande libro che Dio ha posto dinanzi ai nostri occhi. Le verità che scopre gli appartengono: nutre ed eleva il proprio spirito, vive tranquillo; non teme nulla che provenga dagli uomini e la sua tenera sposa non viene a tagliargli il naso”
Pieno di queste idee, si ritirò in una casa di campagna sulle rive dell’Eufrate. Lì non si dedicava a calcolare quanti pollici d’acqua scorrono in un secondo sotto le arcate di un ponte, né se cadeva una linea cubica di pioggia in più nel mese del topo piuttosto che in quello della capra.
Non vagheggiava di ricavare della seta dalle tele di ragno né della porcellana dai cocci di bottiglia; studiava invece principalmente le proprietà degli animali e delle piante ed acquisì ben presto una tale sottigliezza da scoprire mille dettagli laddove gli altri uomini non vedevano che un tutto uniforme.
Un giorno, passeggiando nei pressi di un boschetto, vide correre verso di lui un eunuco della regina, seguito da numerosi funzionari che sembravano preda della più grande inquietudine e che correvano qua e là come uomini smarriti che cercano ciò che di più prezioso hanno perduto.
“Giovanotto” gli disse il primo eunuco “ avete per caso visto il cane della regina?”
Zadig rispose con modestia: “E’ una cagna e non un cane”
“Avete ragione!” riprese il primo eunuco.
“E’ una cagna da caccia molto piccola” aggiunse Zadig; “ha partorito da poco, zoppica dalla zampa anteriore sinistra ed ha delle orecchie molto lunghe”
“L’avete vista allora?” disse il primo eunuco ansimando.
“No” rispose Zadig “non l’ho mai vista e non sapevo neanche che la regina possedesse una cagnetta”
Proprio in quel momento, per un capriccio della sorte, il più bel cavallo delle scuderie reali era sfuggito di mano al palafreniere nelle pianure di Babilonia.
Il guardacaccia e tutti gli altri funzionari lo inseguivano con altrettanta inquietudine quanta ne mostrava il primo eunuco inseguendo la cagna. Il guardacaccia si rivolse a Zadig e gli chiese se per caso avesse visto passare il cavallo del re.
“E’ ” rispose Zadig, ”il cavallo che galoppa meglio; è alto cinque piedi, ha gli zoccoli molto piccoli e una coda lunga tre piedi e mezzo; le borchie del suo morso sono d’oro a ventitré carati ed i suoi ferri sono d’argento a undici denari”.
“Che strada ha preso? Dov’è?” chiese il guardacaccia.
“Non l’ho visto” rispose Zadig “e non ne ho mai neanche sentito parlare”.
Il guardacaccia ed il primo eunuco non ebbero alcun dubbio che fosse stato Zadig a rubare il cavallo del re e la cagnetta della regina e lo fecero condurre dinanzi all’assemblea del Gran Desterham che lo condannò alla frusta ed a passare il resto dei suoi giorni in Siberia.
Appena terminato il giudizio, il cavallo e la cagna furono ritrovati ed i giudici si trovarono nella dolorosa necessità di rivedere la loro decisione, ma condannarono Zadig a pagare quattrocento once d’oro per aver detto che non aveva visto ciò che invece aveva visto.
Zadig dovette dapprima pagare l’ammenda, poi gli fu consentito di difendere la propria causa dinanzi al consiglio del Gran Desterham e lo fece in questi termini:
“Fari di giustizia, abissi di scienza, specchi di verità, che avete la pesantezza del piombo, la durezza del ferro, lo splendore del diamante e molte altre affinità con l’oro, giacché mi è permesso parlare dinanzi a questa augusta assemblea, vi giuro per Orosmade che non avevo mai visto la rispettabile cagnetta della regina né tantomeno il sacro cavallo del re dei re. Ecco ciò che mi è accaduto: me ne andavo verso il boschetto dove ho poi incontrato il venerabile eunuco e l’illustrissimo guardacaccia ed ho visto sulla sabbia delle tracce di un animale che ho facilmente riconosciuto essere quelle di un cane piuttosto piccolo.
Dei solchi lunghi e leggeri, impressi su delle piccole sporgenze della sabbia tra le impronte delle zampe, mi hanno fatto intuire che si trattava di una cagna con le mammelle pendenti e che pertanto doveva aver partorito da pochi giorni. Delle altre tracce in un senso diverso, che sembravano aver spianato la superficie della sabbia a fianco della zampe davanti, mi hanno invece suggerito che dovesse avere delle orecchie piuttosto lunghe; e quando ho notato che la sabbia era costantemente meno profonda in corrispondenza di una delle zampe, rispetto alle altre, ho capito che la cagna della nostra augusta regina, doveva essere un po’ zoppa, se posso osare dirlo.
Per quanto riguarda il cavallo del re, sappiate che passeggiando per i sentieri di questo bosco, ho scorto i segni dei ferri di un cavallo; essi erano sempre equidistanti. Ecco, mi dissi, un cavallo dal galoppo perfetto.
La polvere degli alberi, lungo un sentiero che ha una larghezza non superiore ai sette piedi, era stata smossa a destra ed a sinistra, a tre piedi e mezzo dal centro del sentiero.
Questo cavallo, mi sono detto, ha una coda di tre piedi e mezzo che, muovendosi da destra a sinistra, ha portato via la polvere. Ho quindi visto sotto gli alberi che formavano una volta alta cinque piedi, delle foglie cadute di recente dai rami; ho capito che le aveva toccate questo cavallo che pertanto doveva essere alto cinque piedi. Quanto al morso, deve essere d’oro a ventitré carati giacché ne ha sfregate le borchie contro un sasso che ho riconosciuto essere una pietra di paragone e che ho esaminato. Ho infine giudicato dai segni che i suoi ferri hanno lasciato su dei ciottoli di altro tipo, che essi erano ferrati in argento a dodici denari di fino.”
Tutti i giudici ammirarono la profonda e sottile capacità di giudizio di Zadig e ne giunse notizia fino al re ed alla regina. Nelle sale d’attesa, alla camera ed al governo non si parlava che di Zadig e, sebbene molti dei Magi ritenessero che dovesse essere bruciato come stregone, il re ordinò che gli venisse restituita l’ammenda di quattrocento once d’oro cui era stato condannato.
Il cancelliere, gli uscieri, i procuratori, si recarono presso la sua dimora con grande solennità per restituirgli le quattrocento once, ne trattennero solamente trecentottantotto per le spese legali mentre i loro valletti pretesero una mancia.
Zadig capì quanto fosse pericoloso talvolta risultare troppo preparato e si ripromise, qualora ne fosse capitata l’occasione, di non raccontare mai più ciò di cui fosse stato testimone.
Tale occasione capitò molto presto: un prigioniero di stato fuggì e passò sotto alle finestre della sua abitazione.
Zadig fu interrogato, non rispose nulla, ma riuscirono a provare che aveva guardato dalla finestra. Venne quindi condannato per un tale crimine ad un’ammenda di cinquecento once d’oro e dovette ringraziare i giudici per la loro clemenza, secondo le usanze di Babilonia.
“Gran Dio!” si disse “come ci si deve rammaricare di essere andati a passeggio proprio nel bosco dove la cagna della regina ed il cavallo del re sono andati a passare! E come è pericoloso affacciarsi alla finestra! E infine, com’è difficile essere felici in questa vita!

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