giovedì 31 marzo 2011

Capitolo 7 - I dibattiti e le audizioni

Capitolo 7
 I dibattiti e le audizioni
 E così Zadig mostrava quotidianamente la sottigliezza del suo ingegno e la bontà del suo animo; era ammirato e, ciononostante, era amato. Era ritenuto il più fortunato tra gli uomini e tutto l’impero traboccava del suo nome; tutte le donne lo desideravano, tutti i cittadini ne celebravano la giustizia; i sapienti guardavano a lui come ad un oracolo; gli stessi sacerdoti ammettevano che ne sapeva di più del vecchio arcimago Yebòr.
Erano ormai lontani i tempi in cui lo volevano processare a causa dei grifoni; credevano solamente in ciò che lui riteneva degno di fede.
Vi era in Babilonia una grande disputa che durava da più di millecinquecento anni e che divideva l’impero in due sette contrapposte:
una riteneva che non si potesse entrare nel tempio di Mitra se non con il piede sinistro, l’altra invece aborriva una tale usanza ed entrava sempre con il piede destro.
Si aspettava il giorno della festa solenne del fuoco sacro, per sapere a quale setta avrebbe dato i suoi favori Zadig.
Tutti avevano gli occhi sui suoi due piedi e tutta la città era in ansia ed agitazione.
Zadig entrò nel tempio saltando a piedi uniti e dimostrò successivamente, attraverso un discorso convincente, che il Dio del cielo e della terra, non avendo caratteristiche umane, non fa alcun caso né alla gamba sinistra né alla destra.
L’Invidioso con la moglie presero a dire che i suoi discorsi non erano sufficientemente elaborati, che non smuovevano le montagne e neanche le colline. “E’ arido e senza fantasia” dicevano costoro, “con lui non vediamo il mare ritirarsi, né le stelle precipitare, né il sole fondersi come cera; non ha il buon stile orientale”.
Zadig si accontentava di possedere lo stile della ragione.
Tutti furono subito dalla sua parte, ma non perché era nel giusto, o perché era ragionevole, o perché amabile, ma solamente perché era il primo ministro.
Allo stesso modo pose termine alla diatriba tra i magi bianchi ed i magi neri. I magi bianchi sostenevano che fosse un’empietà volgersi, nella preghiera, verso oriente durante l’inverno; i neri assicuravano che Dio aveva in orrore le preghiere degli uomini che si volgevano verso occidente in estate.
Zadig ordinò che ciascuno si volgesse a proprio piacimento.
Adottò l’accorgimento di sbrigare al mattino le questioni private e quelle pubbliche: il resto del giorno si dedicava agli abbellimenti di Babilonia: faceva rappresentare tragedie che facevano piangere e commedie che facevano ridere, cosa che da lungo tempo era passata di moda e che egli riportò in voga poiché era dotato di buon gusto.
Non pretendeva di saperne più degli artisti e li ricompensava con benefici ed onorificenze e non era affatto geloso del loro talento.
Alla sera intratteneva il re e soprattutto la regina. Il re diceva “Che grande ministro!” e la regina diceva “Che ministro amabile!, ed entrambi poi aggiungevano “Che peccato sarebbe stato se l’avessero impiccato!”
Mai uomo in vista fu costretto a concedere tante udienze alle dame. La maggior parte andava a riferirgli storie inesistenti per poterne avere una con lui.
La moglie dell’Invidioso si presentò per prima; gli giurò in nome di Mitra, di Zenda-Vesta e del sacro fuoco, di aver sempre biasimato la condotta del marito, gli confidò che il marito era geloso e violento; gli fece capire che gli dèi lo punivano rifiutandogli i preziosi effetti di quel sacro fuoco grazie al quale l’uomo è simile agli immortali: finì con il lasciar cadere la giarrettiera;
Zadig la raccolse con la sua consueta cortesia ma non la riallacciò al ginocchio della dama e questa piccola mancanza, se tale può essere considerata, fu la causa delle più tremende sventure.
Zadig non ci pensò più ma la moglie  dell’Invidioso ci pensò a lungo.
Altre dame si presentavano ogni giorno.
Gli annali segreti di Babilonia sostengono che egli cedette una sola volta, ma che si stupì di godere senza passione e di abbracciare l’amante con distrazione.
Colei alla quale egli concesse, senza quasi accorgersene, i segni della sua protezione, era una cameriera della regina Astarté.
Questa tenera Babilonese si diceva per consolarsi:
“Quest’uomo deve avere la testa presa da una quantità incredibile di problemi, visto che ci pensa anche mentre fa l’amore”.
Capitò a Zadig, in uno di quei momenti in cui la maggior parte delle persone non dicono nulla, mentre altri pronunciano solamente delle espressioni sacre, di gridare improvvisamente “La Regina!”.
La Babilonese credette che finalmente egli fosse ritornato in sé e che avesse detto “Mia regina”. Ma Zadig, sempre piuttosto distratto, pronunciò il nome di Astarte.
La fanciulla, che in quelle piacevoli circostanze interpretava tutto a suo vantaggio, s’immaginò che egli avesse voluto dire: “Voi siete più bella della regina Astarte”.
Uscì quindi dagli appartamenti di Zadig, con dei bellissimi regali ed andò a raccontare la sua avventura all’Invidiosa, che era sua amica intima; costei fu crudelmente ferita della preferenza. “Non si è neanche degnato di riallacciarmi questa giarrettiera” disse “ e dunque non la voglio più usare”.
“Oh, oh” disse la fortunata all’Invidiosa, voi portate le stesse giarrettiere della regina! Le prendete per caso dalla stessa sarta?”
L’Invidiosa cadde in una profonda riflessione e non rispose nulla, ma andò a consultare suo marito l’Invidioso.
Nel frattempo Zadig si era reso conto di essere sempre distratto quando teneva udienza e quando giudicava: non sapeva a cosa attribuirlo; era il suo unico rammarico.
Fece un sogno: gli sembrò dapprima di essere coricato su delle erbe secche, tra le quali ve ne erano alcune che lo pungevano e successivamente di riposare dolcemente su di un letto di rose da cui usciva un serpente che lo feriva al cuore con una lingua d’acciaio e velenosa.
“Ohimé!” si disse “sono stato a lungo coricato sull’erba secca ed ispida ed ora sono sul letto di rose: ma chi sarà il serpente?

mercoledì 30 marzo 2011

Capitolo 6 - Il ministro

Capitolo 6
Il ministro
Il re aveva perduto il suo primo ministro, scelse quindi Zadig per ricoprire quest’incarico.
Tutte le belle dame di Babilonia, plaudirono a tale scelta giacché, dalla fondazione dell’ impero mai vi era stato ministro più giovane.
Tutti i cortigiani erano furibondi; l’Invidioso ne ebbe il sangue amaro ed il naso gli si gonfiò prodigiosamente. Zadig, dopo aver ringraziato il re e la regina, andò a ringraziare anche il pappagallo: “Magnifico uccello” gli disse “voi mi avete salvato la vita e mi avete fatto primo ministro: la cagna ed il cavallo delle loro maestà mi avevano fatto molto male, voi invece mi avete fatto del bene. Ecco dunque da cosa dipendono i destini degli uomini! Ma” aggiunse “una felicità così strana potrebbe forse svanire ben presto.”
Il pappagallo rispose “Si”.
Questa parola colpì Zadig. Tuttavia, poiché era un buon naturalista e non credeva che i pappagalli fossero profetici, ben presto si rassicurò e si mise ad occuparsi del suo ministero al meglio.
Egli operò in modo che tutti sentissero il sacro potere delle leggi e nessuno il peso della sua carica.
Non ostacolava i voti del consiglio e ciascun vizir poteva esprimere la propria opinione senza irritarlo.
Quando giudicava, non era lui ma la legge a farlo, ma quando era troppo severa, la mitigava; quando invece mancava la legge, la sua rettitudine gliene faceva creare di tali che erano scambiate per quelle dello stesso Zoroastro.
Proviene da lui quel grande principio, comune tra le nazioni, per il quale è meglio rischiare di salvare un colpevole, piuttosto che condannare un innocente.
Riteneva che le leggi fossero fatte non solo per intimorire i cittadini ma anche per proteggerli.
La sua principale capacità consisteva nello svelare la verità che tutti gli uomini invece cercano di nascondere.
Sin dai primi giorni del suo ministero, mise all’opera questo suo grande talento.
Un famoso mercante di Babilonia era morto nelle Indie ed aveva disposto che i suoi due figli ereditassero della sua fortuna in parti uguali, dopo aver dato in sposa la loro sorella, ed aveva lasciato un dono di trentamila pezzi d’oro a quello dei due che avesse mostrato di amarlo di più.
Il maggiore gli fece erigere un mausoleo, il secondo invece aumentò la dote della sorella di una parte della sua eredità; tutti dicevano: “E’ il maggiore che amava di più il padre, il più giovane ama di più la sorella; e’ al maggiore che spettano i trentamila pezzi d’oro.”
Zadig li convocò entrambi, uno dopo l’altro. Disse al maggiore: “Vostro padre non è morto, è guarito dalla sua malattia e ritornerà in Babilonia”.
“Dio sia lodato” rispose il maggiore “ma ecco un mausoleo che mi è costato molto caro!”
Zadig disse poi la stessa cosa al più piccolo.
“Dio sia lodato!” rispose, “corro a restituire a mio padre tutto ciò che ho, ma vorrei che lasciasse a mia sorella ciò che le ho donato.”
“Voi non restituirete nulla” disse Zadig “ ed avrete i trentamila pezzi d’oro, siete voi infatti che amate maggiormente vostro padre”.
Una fanciulla estremamente ricca si era promessa in sposa a due Magi e, dopo aver ricevuto per alcuni mesi gli insegnamenti dell’uno e dell’altro, si ritrovò incinta. Essi volevano sposarla entrambi.
“Prenderò per marito” disse “colui che mi ha messo in condizione di donare un nuovo cittadino all’impero”.
“Sono io che ho compiuto quest’opera meritevole”, disse l’uno.
“Sono io che ho avuto questo privilegio” disse l’altro.
“Ebbene!” rispose la giovane “riconoscerò come padre del bambino chi dei due potrà dargli la migliore educazione.”
Quando la giovane partorisce, ciascuno dei due Magi vuole riconoscerlo.
La causa viene portata dinanzi a Zadig che fa convocare i due Magi.
“Cosa insegnerai al tuo allievo?” Chiese al primo.
Gli insegnerò le otto parti dell’orazione, la dialettica, l’astrologia, la demonomania, cosa è la sostanza e cosa l’accidente, l’astratto ed il concreto, le monadi e l’armonia prestabilita”.
“Io invece, disse il secondo, cercherò di renderlo giusto e degno di avere degli amici”.
Zadig decretò: “Che tu sia il padre o no, sarai tu a sposarne la madre!”
Giungevano quotidianamente a corte delle lamentele conto l’Imad di Media, di nome Irax.
Era questi un gran signore, la cui indole non era malvagia, ma che era stato corrotto dalla vanità
e dalla lussuria.
A malapena sopportava che gli si rivolgesse la parola e affatto che osassero contraddirlo.
I pavoni non sono più vanitosi, né le colombe più sensuali, né le tartarughe più pigre; non si nutriva che di vanagloria e di falsi piaceri.
Zadig decise di correggerlo.
Gli mandò, da parte del re, un maestro di musica con dodici coristi e ventiquattro violini ed un maggiordomo con sei cuochi e quattro ciambellani, che avevano l’ordine di non lasciarlo mai.
Per ordine del re la seguente etichetta doveva essere assolutamente rispettata, ed ecco come andarono le cose.
Il primo giorno, non appena il lascivo Irax fu sveglio, entrò il maestro di musica seguito dai coristi e dai violini: eseguirono una cantata di due ore e, ogni tre minuti il ritornello era:
Com’è grande il suo valore!
Quale grazia! Che magnificenza!
Ah, quanto il mio signore
può essere felice di se stesso!
Dopo l’esecuzione della cantata, un ciambellano
si profuse in un’arringa di tre quarti d’ora, in cui venivano lodate di proposito tutte le buone qualità di cui era privo.
Finita l’arringa, venne condotto a tavola al suono degli strumenti. Il pranzo durò tre ore, durante il quale non appena aprì la bocca per parlare, il primo ciambellano disse “Avrà ragione!”.
Non appena ebbe pronunciato quattro parole, il secondo ciambellano urlò: “Ha ragione!”
Gli altri due ciambellani sottolineavano con esplosioni di risate le facezie che Irax diceva o che avrebbe voluto dire.
Dopo pranzo fu ripetuta la cantata.
La prima giornata gli parve deliziosa e credette che il re dei re lo volesse onorare secondo i suoi meriti; la seconda gli sembrò meno gradevole; la terza fu fastidiosa; la quarta fu insopportabile; la quinta un supplizio: infine, stufo di sentir sempre cantare:
“Ah quanto il mio signore
può essere felice di se stesso!”
di sentirsi sempre dare ragione e di venire arringato tutti i giorni alla stessa ora, scrisse una supplica, pregando il re che richiamasse i suoi ciambellani, i suoi musicisti, il suo maggiordomo; promise di essere da quel momento in poi meno vanitoso e più pratico; da allora si fece incensare meno, diede meno feste e fu più felice, poiché come dice il Sadder, “il piacere tutti i giorni non è più piacere”.

Capitolo 5 - I generosi

Capitolo 5
I generosi
Giunse il tempo in cui si celebrava una grande festa che ricorreva ogni cinque anni. Vi era in Babilonia l’usanza di dichiarare solennemente, al termine di cinque anni, quale cittadino avesse compiuto l’azione più generosa; i nobili ed i magi ne erano giudici.
Il Primo Satrapo, incaricato del governo della città, illustrava le più belle azioni che erano state compiute sotto il suo governo. Si procedeva quindi per acclamazione ed il re pronunciava il verdetto finale.
Per questa ricorrenza giungevano persone dai più remoti angoli del paese. Il vincitore riceveva dalle mani del monarca una coppa d’oro decorata con pietre preziose, ed il re gli diceva le seguenti parole: “Ricevete questo premio per la generosità e possano gli dèi donarmi numerosi altri come voi!”
Giunto questo giorno memorabile, il re comparve sul suo trono circondato dai nobili, dai Magi e dai rappresentanti di tutte le nazionalità, che venivano a questi giochi dove la gloria si acquisiva, non per l’agilità dei cavalli, né per la prestanza dei corpi, ma grazie alla virtù. Il primo satrapo riferì ad alta voce le azioni che potevano meritare ai loro autori questo inestimabile premio.
Non parlò della magnanimità con cui Zadig aveva restituito all’Invidioso tutti i suoi beni: questa infatti non era un’azione che meritasse di aspirare al premio.
Presentò per primo un giudice che, avendo fatto perdere un considerevole processo ad un cittadino per un errore di cui peraltro non era responsabile, gli aveva donato tutti i suoi averi, che corrispondevano al valore di ciò che l’altro aveva perduto.
Mostrò quindi un giovane che, perdutamente innamorato di una fanciulla che avrebbe dovuto sposare, l’aveva ceduta ad un amico che era sul punto di morire d’amore per lei, pagandone inoltre la dote.
Fece quindi comparire un soldato che, durante la guerra d’Ircania, aveva dato un esempio di generosità ancora maggiore.
I soldati nemici stavano portando via la sua amata ed egli la stava difendendo, quando gli fu riferito che altri ircaniani stavano rapendo sua madre a poca distanza: piangendo abbandonò la sua amata e corse a liberare la madre, tornò quindi da colei che amava e la trovo morente. Voleva uccidersi, ma sua madre gli rammentò che non gli rimaneva che lui su cui contare ed egli ebbe il coraggio di sopportare di rimanere in vita
I giudici propendevano per questo soldato. Prese allora la parola il re e disse: “Questa azione e quelle degli altri sono molto belle, ma non mi stupiscono più di tanto; ieri invece Zadig ne ha compiuta una che mi ha sbalordito. Da alcuni giorni avevo rimosso il mio ministro e favorito Coreb. Lo accusavo con violenza e tutti i cortigiani mi assicuravano che ero anche troppo tenero facendo a gara nel parlarne male. Chiesi a Zadig cosa ne pensasse e lui osò parlarne bene.  Ammetto di aver visto, in queste storie, degli esempi in cui è stato pagato un errore di propria tasca, in cui è stata ceduta la propria amata, in cui è stata preferita la madre all’oggetto del proprio amore, ma non mi è mai capitato di leggere che un cortigiano avesse parlato a favore di un ministro caduto in disgrazia e con il quale il proprio sovrano fosse in collera.  Dono pertanto ventimila pezzi d’oro a tutti coloro di cui sono state narrate le azioni generose ma assegno la coppa a Zadig”.
“Sire” disse questi, “solo vostra maestà merita la coppa, avendo compiuto l’azione più inaudita, giacché da re non vi siete adirato con il vostro schiavo per aver contraddetto la vostra opinione”.
Tutti ammirarono il re e Zadig. Il giudice che aveva donato suoi averi, l’amante che aveva dato in sposa la sua amata all’amico, il soldato che aveva preferito la salvezza della madre a quella della sua amata, ricevettero il dono del monarca e videro i loro nomi segnati nel libro dei generosi. Zadig ebbe la coppa. Il re si conquistò la reputazione di buon principe, che non conservò a lungo.
Questa giornata venne celebrata con festeggiamenti più lunghi di quanto non fosse previsto dalla legge ed ancora se ne conserva memoria in tutta l’Asia.
Zadif si disse: “Finalmente sono felice!”
Ma si sbagliava.